Se gli hashtag servono a raggruppare i post per argomenti precisi, ampliando così la visibilità di chi li pubblica, perché inventarli a caso? Giusto per sembrare trendy?
Ancora oggi, sono in molti ad ignorare il senso di queste “etichette” virtuali inserendole nei propri post inutilmente.
Vengono inventate vere e proprie frasi senza senso, intasando i post con decine di “cancelletto-frasi” che nascono e muoiono senza alcuna logica, né ai fini del marketing né come contributo ad un dialogo lanciato da altri. La motivazione nasce – credo – dalla stessa patologia che ha portato i social a creare tanta dipendenza, ovvero l’estrema necessità di comunicare, anche senza ascoltare o senza leggere e in questo caso senza porsi la domanda importante: da chi sarà visto il mio post? Ciò è trascurabile per i profili social personali, se ci rivolgiamo ai nostri amici gli hashtag servono a poco. Ma di sicuro diventa fondamentale porsi tale quesito quando gestiamo profili business!
Non considerando chi raggiungeremo con i nostri post, utilizzando “folkloristici” hashtag, non seguiremo mai la scia di altri articoli che trattano un determinato argomento e certamente non riusciremo mai a monitorare l’andamento di una campagna di marketing, altra cosa utile che ne giustifica l’impiego, infatti richiamare un hashtag serve a raggruppare e monitorare così i post. Per esempio uno slogan può essere trasformato in etichetta, oppure il nome di un evento o quello di una promozione. Cercando su Facebook l’hashtag che abbiamo lanciato potremo facilmente monitorare l’andamento di tutti i post della nostra campagna di social media marketing. Tutti gli altri baldanzosi hashtag saranno destinati a divenire frasi digitali sconnesse, farciture decorative che, unite ad un semplice cancelletto avranno l’ambizione o forse l’illusione di essere in qualche modo notate dal lettore.
Quando condividerò questo articolo, potrò anche utilizzare l’hashtag #mahaicapitoonocomesiusanoglihashtag per fare della facile ironia, ma di sicuro, non essendo mai stato utilizzato da altri per parlare dello stesso argomento, non raggiungerò più persone di quelle che mi seguono.
Non c’è da stupirsi quindi se otterrò pessime conversioni o saranno addirittura assenti, proprio come nel caso di hashtag troppo generici, mi spiego, se volessi raccontare che oggi ho corso 10 km facendo un tempo migliore di quello dell’ultima volta, usando l’hashtag #running aggancerei il mio post ad un argomento utilizzato dal mondo intero a cui di sicuro non importerà nulla della mia corsetta tra l’altro. Se ne utilizzassi uno del tipo #senigalliarun il mio post sarebbe visto almeno da tutti gli interessati alla corsa della mia città oltre che dai miei amici.
Se hanno inventato delle App per monitorare gli hashtag più seguiti, che convertono di più, ci sarà un motivo, se fare il social media manager è un mestiere e non un’improvvisata occupazione temporanea un motivo ci sarà! Poi esistono persone che hanno capito queste semplici regole e, nonostante facciano tutt’altro di mestiere, li utilizzano egregiamente nei loro post (Vanity Metrics a parte) magari credendo che, fare marketing sui social sia un simpatico passatempo.
Personalmente ho sempre creduto di cucinare un’ottima carbonara, ma di certo non avrò mai la presunzione di credere di poter gestire un ristorante… a buon intenditor… pochi hashtag!